Nei giorni scorsi i mezzi d'informazione si sono occupati della polemica innescata da Rita Dalla Chiesa per il degrado che aveva riscontrato nella zona di Palermo nella quale si trova la targa che ricorda l'uccisione di suo padre.
Cercando di trovare una motivazione a quella mancanza di cura, la figlia del Generale aveva pensato che questa fosse legata al fatto che suo padre non era siciliano e che per questo i cittadini di Palermo lo sentissero estraneo.
In realtà l'estraneità del Generale Dalla Chiesa non era legata al suo non essere siciliano ma a ciò che rappresentava.
Rita Dalla Chiesa non ha infatti considerato il fatto che chiunque, in Sicilia, sia siciliano o meno, rappresenti lo Stato (inteso come comunità, come interessi generali da difendere, come regole da fare rispettare a tutti, senza alcuna distinzione), è visto come "estraneo", è considerato "strano", e per questa sua "stranezza" viene isolato.
Di casi di siciliani considerati “estranei” nella loro terra è piena la Storia.
Non che la ricerca del favore, del privilegio, sia una prerogativa dei siciliani ma certamente tra di essi questa tendenza è ben radicata e molto diffusa, una propensione quasi "naturale", al punto da considerarla normale, fisiologica.
Ma, al di là di questo, quello che negli anni mi ha colpito, del luogo di quel delitto, è il fatto che disti solo pochi metri da quello che per i palermitani è (era?) un autentico tempio della gola: la pasticceria F.lli Magrì, famosa, oltre che per le splendide cassate, per la “castagna” e la “patata”.
La pasticceria si trova al numero civico 42 di via Isidoro Carini, proprio a pochi metri dal luogo dove, la sera del 3 settembre 1982, furono uccisi il Generale Dalla Chiesa, sua moglie e l'uomo che guidava l'auto di scorta.
Ogni volta che penso a questo luogo di delizie rifletto sul fatto che quella strage sarebbe potuta avvenire in qualunque altro punto del percorso dell'auto sulla quale quella sera viaggiavano il generale e sua moglie, ma il caso volle che avvenisse proprio lì, a pochi metri dalla pasticceria Magrì.
O si deve pensare che Atropo, la più vecchia delle tre mitiche Moire greche (le Parche romane), quando decretò il momento di quelle morti, quando decise di recidere il filo di quelle vite, scelse, oltre al tempo, anche il luogo?
In ogni caso, in questa casuale vicinanza vedo una conferma di come a Palermo sia possibile trovare il massimo della dolcezza proprio accanto al massimo della ferocia, della crudeltà.
Proprio come accade nella natura umana, che ci fa vedere come spesso il bene e il male siano così vicini da essere rintracciabili nella stessa persona.
Palermo è la dimostrazione visiva di come nell'essere umano i pregi e i difetti non si trovino in due colonne distinte e separate (da una parte il bene e dall'altra il male) ma si intreccino invece inestricabilmente, dando vita ad un unico contesto, nel quale il bene e il male sono costretti a convivere nello stesso spazio, inevitabilmente.
Franco Torre