Simbolo della piazza è la statua di Carlo V, eretta nel 1631 per ricordare la visita del 1535 dell'imperatore sui cui possedimenti non tramontava mai il sole.
Alla mano destra di Carlo V, il cui gesto indica il giuramento di fedeltà che l'imperatore fece alla Costituzione ed ai privilegi della città e della Sicilia, i palermitani attribuiscono, con ironia, la funzione di indicatore dell'altezza dei cumuli di spazzatura (piaga della quale Palermo non riesce proprio a liberarsi).
La piazza prende il nome dalla città di Bologna, luogo d'origine dei Beccadelli, famiglia appartenente all'antica nobiltà siciliana.
All'inizio del XIV secolo un ramo di quella famiglia fu trapiantato a Palermo da Vannino Beccadelli, che per la sua provenienza fu nominato “di Bologna”, appellativo che in seguitò accompagnò tutti i suoi discendenti.
Il figlio di Vannino, Enrico, fu il padre di Antonio, detto il Panormita.
La cosa che mi ha sempre colpito di questa piazza, più della sua forma regolare, più della bellezza dei palazzi che vi si affacciano (palazzo Alliata di Villafranca, uno dei più belli della Palermo barocca, custodisce “La Crocifissione”, di Antoon Van Dyck), è il fatto che nella targhe poste ai suoi lati, così come nella maggior parte delle guide di Palermo (e non solo), venga indicata come piazza Bologni.
Storpiare il nome di questa piazza non significa soltanto commettere un grossolano errore, vuol dire soprattutto, prima di tutto, ignorare il legame che i nomi hanno con le cose, non capire che i nomi hanno un perché, un preciso significato.
E Bologni, a differenza di Bologna, non significa assolutamente nulla.
Vedo, in questa storpiatura, un segno del disprezzo che si ha spesso della verità, una manifestazione dell'idea che la si possa ignorare, che se ne possa fare a meno, come se la verità non esistesse.
In realtà, la verità può essere ignorata, può essere derisa, può essere tenuta nascosta, ma non può essere cancellata.
La verità esiste e aspetta sempre, senza mai stancarsi nell'attesa, chi la voglia incontrare, chi la voglia conoscere.
E questo anche in un mondo nel quale si punta a indurre le persone a credere a cose false, sfruttando a tal fine il noto fenomeno per cui la frequente ripetizione di una cosa non vera porta spesso a non distinguere più tra “familiarità” e “verità”.
E anche se chi, dopo aver faticato a lungo per trovarla, cerca di affermarla, di farla conoscere, viene, proprio per questo, fatto fuori (a volte, non solo metaforicamente).
E forse non è un caso che questo scambio di nomi avvenga nella terra dei paradossi, nella terra di Pirandello, che nelle sue opere affrontò il tema della pena alla quale la verità è condannata: l'impossibilità di affermarsi come verità oggettiva, valida per tutti e da tutti riconosciuta tale, impossibilità che, per Pirandello, può anche portare alla follia.
E a proposito di scambio di nomi mi viene in mente un famoso scambio di identità: quello al centro del “Fu Mattia Pascal” e di “Professione Reporter”, il film di Antonioni che richiama proprio il romanzo dello scrittore agrigentino.
In tanti sostengono che la storpiatura del nome di piazza Bologna sia ormai entrata a far parte della normalità, che sia andata ad aggiungersi al lungo elenco delle cose che vengono accettate passivamente, senza nemmeno farci caso.
Costoro, evidentemente, non si curano delle conseguenze di questo modo di pensare (delle quali forse nemmeno si rendono conto), non capiscono che il fatto che questa storpiatura sia così diffusa, e che lo sia da tanto tempo, non solo non significhi nulla ma, soprattutto, non elimini l'errore.
Come ha detto Schopenhauer, l'universalità di un'opinione non costituisce né una prova né un motivo che la rende probabile.
Franco Torre
Nota
Percorrendo via Maqueda, verso la stazione, poco prima della porta di Vicari, sul lato sinistro, si può notare una targa sulla quale il nome della via è scritto "Macqueda".
Il tipo di errore è diverso ma il mancato rispetto della verità è lo stesso, così come il fatto che non si rimedi ad un grossolano errore.
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