L'opera sarà presentata il 5 febbraio 2009 presso la Società italiana di Storia Patria e vi rimarrà in esposizione per tutto il mese di Febbraio.
Di seguito il ricordo di Tomasi di Lampedusa, di Salvatore Butera, pubblicato sul numero 21 della rivista PER Salvare Palermo.
Nunc et in hora mortis nostrae. Amen. La recita quotidiana del Rosario era finita.
È il celebre incipit de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la cui prima apparizione risale al 1958, esattamente cinquant’anni fa. L’anno prima, nel ’57, il povero Lampedusa era morto a Roma, vittima di un tumore, senza riuscire a vedere pubblicato il romanzo cui aveva atteso negli ultimi mesi della sua non lunga vita. Quel romanzo alla sua apparizione suscitò un vero e proprio scandalo, tali e tante ne erano le novità, rispetto ad un periodo cruciale della storia siciliana, dal maggio 1860 in coincidenza con lo sbarco di Garibaldi a Marsala. Il mondo perbenista e borghese di Palermo si scandalizzò di quei giudizi, si trovò improvvisamente messo in mezzo e senza difesa ad opera di un suo proprio figlio, quale tutto sommato era l’aristocratico Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il romanzo si andò ad aggiungere ad altri due capolavori della letteratura siciliana, I Vicerè di Federico De Roberto, del 1894 e I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello del 1913. Perché metto insieme queste tre opere, così belle, così diverse, eppure tra esse convergenti, come per altro ha già fatto con ben diversa maestria Francesco Orlando? Perché in sostanza a ben vedere il loro tema comune è quello delle delusioni della conseguita Unità nazionale da parte di una Sicilia retrograda e riottosa che in sostanza, nonostante l’ottimismo di alcuni grandi storici come Rosario Romeo, non riuscì mai, né allora né poi, ad integrarsi veramente nella realtà viva di un Paese unito, quale è e deve rimanere il nostro. Quei tre romanzi costituiscono una sorta di summa letteraria bellissima e fascinosa. Quella storia diversa e singolare deve essere anzi il tessuto comune, la trama su cui innervare la realtà di uno stato nazionale ormai da tempo in Europa, che non deve in alcun modo ridiscutere ogni giorno le proprie origini né tantomeno rimettere indietro le lancette della storia. Ma se c’è un libro concepito, scritto, copiato, letto per la prima volta nella città di Palermo, questo è proprio “”Il Gattopardo””, la cui ispirazione venne a Lampedusa nella casa di Via Butera, dove egli visse il secondo dopoguerra e dove scrisse e riscrisse a mano in grandi quaderni la sua opera romanzesca che non riuscì a vedere pubblicata per le molte traversie e le molte incomprensioni di un difficile sistema editoriale che lo capì tardi e forse anche per caso. Or bene non risulta a me, ma credo a nessuno dei lettori, che fra mille celebrazioni, anniversari e ricordi di cose utili e inutili qualcuno si sia preso la briga di ricordare questo anniversario e di riparlare del romanzo, del suo Autore e delle molte implicazioni che esso ebbe nel rapporto sempre problematico fra l’Isola e l’opinione pubblica del Paese. Come del resto ha notato S. Silvano Nigro nel suo bellissimo articolo pubblicato sul supplemento domenicale del Sole 24 Ore nel marzo scorso. Certo, il romanzo ispessì piuttosto che assottigliarli gli stereotipi su una certa Sicilia immobile, in qualche modo compiaciuta della propria immobilità e che addirittura teorizza una conservazione fondata sul finto cambiamento. Il Gattopardo non è certamente il quinto Evangelo. E’ un libro discusso e discutibile, ma la cui lettura risulta sempre, oltre che piacevolissima, altamente formativa ed istruttiva. Proprio per questo del Gattopardo si può e si deve discutere, mentre pare che Palermo, a cominciare dal Comune, non si curi minimamente di questo vero e proprio genius loci. Sappiamo bene che la definizione è un po’ impropria, ma è certo che per i tempi moderni e contemporanei Lampedusa è gran parte del genius loci di Palermo. Tutto ciò la dice lunga sull’ormai vecchia e ripetuta discussione sull’identità debole di Palermo. Un libro così importante che a quella identità contribuisce fortemente a delineare, non viene neppure ricordato nel cinquantenario della sua prima apparizione in quel fatidico ’58: fatidico per l’uscita del Gattopardo, per l’avvio della famigerata operazione Milazzo che chiude in buona sostanza la storia politica dell’autonomia regionale, ma fatidico anche per l’omicidio del dottor Michele Navarra ad opera di Luciano Liggio che rappresentò la cesura tra vecchia e nuova mafia e l’ingresso a Palermo dei terribili corleonesi. Quel libro è il frutto fra l’altro di un terribile quanto inedito corto circuito fra aristocrazia e cultura, osservazione anche questa assai ben sviluppata da Francesco Orlando. Il rappresentante di un ceto economicamente e socialmente decaduto e tuttavia ancora oggi ben presente nel tessuto sociale cittadino, che aveva letteralmente letto tutti i libri, lascia l’eredità di un testo letterario raffinatissimo che merita di essere letto e riletto senza fine oltre ad una corposa summa di letture di letteratura inglese e francese che Lampedusa fece in tempo a dettare ai suoi pochissimi discepoli (veri happy few), per fortuna pubblicata nel grande Meridiano Mondadori e che da sola (anche senza il romanzo) avrebbe fatto la fama di un grandissimo intellettuale quale Egli certamente fu. Cosa resta di tutto questo oggi? Qual è il ricordo di Palermo e dei palermitani di questo nostro straordinario concittadino? Siamo sicuri di aver letto tutti questo libro? Siamo sicuri di averlo compreso fino in fondo? Sono domande inquietanti che lasciamo volentieri alla riflessione dei lettori.
Salvatore Butera